sabato 22 novembre 2014

Capitolo 5



Le ragazze non riuscivano più a smettere di ridere. Le battute su quello che sarebbe successo ad Armando, dopo la sventagliata da “action painting”, venivano fuori a raffica.
«E ora, cosa le racconterà alla moglie?» Iniziò Francesca, intenta a guidare verso il locale dove avrebbero ballato per l’intera serata.
«Che tornando a casa, ha imboccato lo svincolo sbagliato e si è trovato al centro di un campo di paintball.»
«Oppure può dirle che si è scontrato con un camion che trasportava vernici.»
«O che gli hanno chiesto di fare il testimonial per una nuova linea di abbigliamento molto colorata.»
«Voi dite che ha più speranza di cavarsela con una spiegazione surreale?» Chiese divertita Mia. «Comunque, è certo che adesso non mi chiamerà più.»
«Al massimo ti contatterà per un lavoro da imbianchino.»
«Mi servirebbe uno per pittare casa... ma conoscendo bene la sua anima da imprenditore si sarà già venduta la giacca a qualche critico d’arte»
Le ragazze proseguirono così, ancora per molto.
Mia era eccitatissima. Si sentiva più leggera ora che si era liberata di quel grosso peso e terribilmente divertita per il modo in cui era finita. Le doleva la testa, per quanto aveva riso alle battute delle amiche. Una serata con loro era proprio quello che ci voleva: divertimento puro senza alcuna pretesa. A differenza degli uomini, loro non la deludevano mai. Ora aveva soltanto bisogno di ballare.  
«Dove stiamo andando?» Chiese alle ragazze.
«Cara, lascia fare a me.» Rispose Francesca. «Il mese scorso ho conosciuto Roel, un gran bel pezzo di cubano. In realtà prima ci sono stato a letto e poi l’ho conosciuto.» Spiegò orgogliosa. «Comunque sono stata invitata al suo locale e non si escludono repliche.»
«Certo!» Aggiunse Mia. «E forse stasera gli chiederai anche il cognome oltre al nome.»
La risata generale terminò con l’avvistamento delle luci esterne del locale.
La serata era al Conga, dove il martedì Roel, insegnante di salsa cubana, organizzava uno dei migliori appuntamenti della settimana, gettonatissima dai salseri fiorentini.
Arrivate fuori al locale, parcheggiarono la macchina e raggiunsero l’entrata, dove trovarono due buttafuori e Roel. «Ciao caro. Possiamo passare io e le mie amiche?» Chiese amabilmente Francesca, gettandosi tra le braccia del grosso cubano.
«Prego. Mujeres così belle sono sempre le benvenute qui al Conga.» Rispose Roel, ammirando i corpi delle quattro giovani donne.
Mia e le amiche si inoltrarono all’interno. Era la prima volta che partecipava a una serata cubana. I suoi ultimi partner l’avevano abituata a uscite di altro genere: Marco amava ballare la musica house, Giovanni era tipo da pizza e cinema e con Armando si godevano ricche cene e sesso clandestino.
Quando arrivò alla pista di ballo, rimase folgorata da quell’atmosfera meravigliosa. La sala era ampia e luminosa, caratterizzata da un elettrizzante gioco di luci colorate che danzavano nell’aria. Era pavimentata con larghe piastrelle quadrate di marmo lucido, che le donavano splendore e sfarzo quasi ipnotico. Un elegante gioco di specchi ne accresceva la profondità sebbene fosse già di per sé grande, e aggiungeva il piacevole effetto speciale di moltiplicare all’infinito le coppie danzanti.
Era attorniata da decine di coppie di ballerini che sembravano volare sulla pista. Non si spiegava come fosse possibile che, in quella danza magica, apparissero tutti più belli e terribilmente erotici. Si rese conto di non poter competere con loro ma capì subito che voleva far parte di questo mondo.
«Voi sapete ballare?» Esclamò preoccupata guardando le amiche. «Io non credo di farcela.»
«Certo! Non è poi così difficile.» Rispose Paola.
«Guarda lì, un gustoso pacchetto di cioccolatini.» Fece notare eccitata Simona. «Stasera ci aspetta un bel mal di pancia.»
Non indugiò un secondo in più. Insieme a Paola si lanciò in prima linea verso di loro. «Ciao ragazzi, c’è qualcuno che fa ballare due giovani principianti?» Propose con malizia.
«Venite qua, piccole! Vi facciamo divertire noi.» Due mulatti presero Simona e Paola e le guidarono al centro della pista.
«Sul serio sanno ballare quelle due?» Chiese Mia perplessa a Francesca.
«Per niente. Ma non penso che il loro obiettivo sia imparare.»
«Scusa, ti va di ballare?» Avanti a lei comparve un ragazzo moro di bell’aspetto, con indosso una camicetta bianca avvitata ai fianchi, che metteva in risalto il suo fisico atletico. Il ragazzo le porgeva la mano con fare gentile.
«Non so… sto qui con le mie amiche.» Mia si sentì del tutto spiazzata. «Non ho mai ballato salsa in vita mia.»
«Nessun problema. Ti mostro io come si fa. Tu mi devi solo assecondare.» Il ragazzo dallo sguardo penetrante sembrava molto sicuro di sé e continuava a tenderle la mano.
“Perché no!” Mia gli diede la sua. “Stasera dobbiamo divertirci.” E lo seguì sulla pista da ballo. Si girò un attimo a salutare Francesca, che rimase a fissarla fumante d’invidia.
Il ragazzo si fermò e si voltò verso Mia. Lei lo scrutò imbarazzata, restando rigida e immobile davanti a lui, con le braccia stese lungo il corpo. Lui sorrise e le prese con delicatezza le mani. Poggiò il palmo sinistro di Mia sulla sua spalla destra. La cinse da dietro la scapola e con uno scossone la tirò verso di lui. Mia si ritrovò con le spalle rette e il petto in fuori a pochi centimetri dal suo corpo.
“Ci sa fare!” Pensò, sentendo i suoi battiti accelerare.
«Rilassati, ti guido io.» Cominciò a muovere i piedi a ritmo di musica, una volta in avanti e una volta dietro, conducendola in maniera decisa. Mia, si lasciò guidare, affidandosi completamente a lui. Sorpresa di se stessa, notò che riusciva a seguirlo senza troppi problemi. Poco dopo, era già padrona del passo base.
«Brava! Stai andando bene.» Si complimentò il giovane ballerino.
«E’ grazie a te. Sei un bravo maestro.»
«Allora proviamo con qualche giro.»
L’abile ballerino moro cominciò a farla girare su se stessa, mentre la minigonna le volava in aria per la gioia degli spettatori. La prima volta, Mia se la abbassò prontamente con la mano ma, quando la musica s’impadronì di lei, non pensò più a niente. Cominciò ad accentuare i movimenti e a scuotere le spalle. Lo guardava dritto negli occhi e gli sorrideva divertita.
Quando terminò la canzone era esausta ma eccitatissima.
«Che bello! È stato troppo divertente.» Esclamò gioiosa.
«Hai detto che non sapevi ballare. Ti sei scatenata invece.»
«Piacere. Sono Mia.» Gli porse la mano.
«Io sono Lorenzo.»
“Mia non fartelo scappare.” Pensò con prontezza.
«Ho sete, mi offri qualcosa al bar?» Gli chiese candidamente, senza lasciargli la mano.
«Certo! Vieni con me.» Lorenzo la scortò tra la folla sfrenata che ballava intorno alla sala, riuscendo ad arrivare incolumi al bancone del bar.
«Cosa bevi?» Le chiese.
«Sei tu di casa.»
«Allora due Mojito andranno bene.»
Poco dopo arrivarono i due cocktail ordinati. «Prendi ti piacerà, è un tipico alcolico cubano.»
Mia sorseggiò il suo Mojito. «Mmm, buonissimo.» Dichiarò sorpresa. «Sei un ottimo ballerino. Sei forse un maestro di salsa?» Era molto brava a lusingare gli uomini con cui parlava.
«No, il mio è soltanto un hobby. In realtà sono un vigile del fuoco.»
«Caspita! Un vero eroe. Sai quante giovani donne in pericolo avrai salvato.»
«In realtà oggi solo un paio, bloccate fuori casa.» Rispose compiaciuto Lorenzo. «E tu invece che lavoro fai?»
«Io gestisco una filiale dell’Adecco. Non è certo un impiego elettrizzante come il tuo, ma anch’io aiuto la gente.»
Nell’aria cominciò a suonare una canzone dei Los Van Van. Una ragazza bionda e minuta, vestita con un vistoso e coloratissimo abitino da gara di ballo, si avvicinò a Lorenzo e lo prese per la mano.
«Lorenzo, mi fai da partner per questo pezzo? Stasera non abbiamo ancora ballato insieme.»
«Sto parlando con un’amica. Facciamo la prossima.»
«Ci parli dopo.» La ragazzina lanciò un sorrisetto dispettoso a Mia e trascinò Lorenzo al centro della sala.
I due cominciarono a infiammare la pista. Ballavano in modo appassionato ed energico, dando sfoggio del loro ampio bagaglio di figurazioni. I loro movimenti risultavano sempre puliti ed eleganti, a dimostrazione di una lunga preparazione alle spalle e anche di un’intesa maturata in un discreto numero di balli in coppia. Mia provò un pizzico d’invidia nei confronti della biondina, che stringeva forte l’affascinante moro. Nonostante fosse molto preso, Lorenzo non mancava occasione, tra una figura e l’altra, per girarsi verso di lei e sorriderle. Dal bordo della pista, con il cocktail in mano, Mia lo fissava senza staccargli gli occhi di dosso. “E’ bravissimo! Leggermente esibizionista direi.”
Terminata la canzone, i due tornarono da lei. La ragazzina si giustificò, fingendo dispiacere: «Scusa per prima ma questa canzone richiedeva due buoni ballerini.»
Mia non era certo venuta per questo ma era stato tutto così travolgente e non riuscì a trattenersi. «Non ti preoccupare. Mantieni questo.» Le piantò il suo bicchiere in mano. Afferrò la camicia di Lorenzo, lo tirò a sé e lo baciò con passione, mentre la ragazza rimase a fissarli con occhi spalancati, senza lasciare il cocktail.
Mia staccò lentamente le labbra da quelle di Lorenzo e gli sorrise con i suoi occhi verde smeraldo. Poi riprese il suo Mojito e liquidò la piccoletta. «Grazie, ora puoi andare.»
La ragazza guardò Lorenzo ancora allibita. Avrebbe voluto dirgli qualcosa ma le parole non le uscirono. Infine si allontanò irritata, sbattendo una coppietta per aria.
«Se volevi farla innervosire, mi sa che ci sei riuscita.»
«In realtà, volevo solo verificare se baciassi bene quanto balli.»
«Allora dovresti concedermi un altro ballo.»
Mia non si fece sfuggire la sua provocazione. Lo afferrò con la mano dietro la testa e lo tirò di nuovo a sé. Questa volta il bacio fu molto più lungo. Lui la cinse con il braccio dietro la schiena e la strinse contro il suo corpo.
“Meglio del ballo.” Pensò lei, schiodandosi dalle sue labbra.
Lui le prese la mano, la portò vicino alla bocca e la baciò, fissandola negli occhi. Poi notò qualcosa di strano.
«Sei una pittrice per caso? Hai le mani sporche di vernice.»
«No.» Rise. «E’ una lunga storia.»

sabato 15 novembre 2014

Capitolo 4



Lorenzo era seduto al tavolo della mensa con i colleghi, gustando il caffè migliore del loro turno, come solo Salvatore sapeva preparare.
«Oggi ti sei superato, guarda quanta crema nella tazzina!» Esclamò sbalordito Fabio.
«Ragazzi, nemmeno al bar lo fanno così buono, il segreto è quello di mettere lo zucchero in un bicchierino a parte e scuoterlo insieme al primo caffè che sgorga dalla macchinetta, il più denso.» Se ne vantò Salvatore come se fosse il grande chef di una delle tante trasmissioni sulla cucina che imperversavano in televisione. Il suo caffè, in effetti, era gustosissimo ed era sempre il modo migliore per terminare un buon pranzo. Quel giorno, inoltre, era davvero ispirato e aveva preparato un primo da gourmet: tagliatelle tirate a mano con salsicce e funghi porcini, che era valso anche come secondo. Dopo, avevano gustato una deliziosa macedonia di frutta fresca tagliata a grossi pezzettoni e, infine, una crostata di fragole che Fabio aveva fatto preparare dalla madre per festeggiare l’acquisto della sua nuova auto. I colleghi, infatti, sfruttavano ogni occasione e ogni minima ricorrenza per gustare le dolci creazioni della signora, famosa per essere un’ottima pasticciera.
Si sistemarono sul divano, di fronte al loro quarantadue pollici ultrapiatto per vedere un buon film insieme. Salvatore, con il telecomando, prese a scorrere uno dopo l’altro i canali disponibili con Sky, quando il telefono della caserma squillò.
«Dai Lorenzo. Rispondi tu.»
Lorenzo sistemò il suo ciuffo corto, anche se sempre in perfetto ordine, e puntellandosi con le mani si alzò dal divano per recuperare il cordless.
«Pronto, distaccamento Vigili del Fuoco Firenze Ovest.»
«Qui è la sala operativa, dovete uscire per un’apertura porta in Via Montebello. Nessun pericolo per i residenti.»
«Va bene, partiamo subito.»
Appena udirono le sue parole, i colleghi con un sorso veloce finirono il loro caffè. Qualcuno pensò bene di bere anche quello ancora caldo rimasto nella caffettiera.
«Senza un bel caffè non si va da nessuna parte, giusto?» Disse Franco ai suoi uomini. Era lui il capo squadra della 2B Firenze Ovest. Un uomo sulla cinquantina con un caratteristico baffo brizzolato e con un’anzianità  di servizio di oltre trent’anni.
Lorenzo, seguito dal restante del gruppo, scese di corsa le scale diretto al garage. Si caricò la borsa d’intervento sulle spalle, completa di casco e divisa antifiamma, e saltò sull’autopompa Stralis, che nel frattempo Paolo, l’autista, aveva messo in moto.
«Capo, attacco la sirena?» Chiese Paolo al capo squadra al suo fianco.
«Non è un’urgenza.» Rispose Franco. «Vai con calma.»
Paolo proseguì fuori dal distaccamento verso il luogo dell’intervento. Seduti dietro, accanto a Lorenzo, c’erano due colleghi del turno C: Fabio, ragazzo robusto amante del Calcio Storico Fiorentino e Salvatore, da poco divorziato con la moglie. All’interno della squadra, dopo innumerevoli interventi e pericoli superati insieme, si era creato un forte affiatamento. Erano diventati veri fratelli, pronti a guardarsi le spalle l’un l’altro.
Lorenzo, lungo il tragitto, si perse nei suoi pensieri. “Nonno, oggi si inizia con qualcosa di leggero.”
Pensava spesso a suo nonno, vigile del fuoco prima di lui, a cui era stato molto legato. Da piccolo rimaneva ore ad ascoltarlo, rapito dai racconti delle sue mille avventure. Era il suo punto di riferimento, il suo eroe, a differenza del padre, chiuso sempre nel suo ufficio, preso esclusivamente dai suoi progetti ingegneristici.
Il nonno gli aveva insegnato ad apprezzare la vita in tutte le sue sfumature e a riconoscerne il bello. Mentre il padre era impegnato con i suoi pilastri di calcestruzzo, lui, da tempo in pensione, lo portava a fare lunghe passeggiate in giro per il parco, dove poteva correre e giocare in libertà.
Durante questi momenti passati insieme, il nonno non perdeva l’occasione di parlargli dei suoi tanti interessi, delle sue passioni e dei suoi svariati hobby. Nelle loro frequenti visite agli Uffizi, gli narrava aneddoti sulla vita dei grandi artisti, e gli descriveva il significato e la maestria di ogni opera che incrociavano. Infine, si divertivano ad ascoltare in silenzio ciò che i dipinti avevano da comunicare.
«Nonno, ma io non sento nulla.» Gli disse un giorno Lorenzo un po’ seccato.
«Perché non fai silenzio nella tua testa. Apri e svuota la mente. Sentirai i cavalli che galoppano e le spade che si scontrano.»
Lorenzo tornò a fissare il quadro e a concentrarsi. «Nonno, ho sentito un rumore strano. Ma i cavalli le fanno le puzzette?»
«Certo che le fanno e pure belle rumorose.» Rise e accarezzò i capelli al suo piccolo nipote.
Oramai, il nonno era morto, ma con la gioia nel cuore di vederlo vestire la divisa del vigile del fuoco e ripercorrere così i suoi passi. Qualsiasi cosa Lorenzo facesse, lavoro, volontariato, viaggi e hobby, il nonno continuava a vivere in lui. In ogni momento della sua vita, portava sempre con onore e orgoglio il suo nome.
L’improvviso stridio dei freni lo distolse dai suoi piacevoli ricordi. Erano appena arrivati sul posto. Il capo squadra e i suoi tre uomini scesero dallo Stralis.
«Paolo tu aspettaci qui…» Disse Franco all’autista.
«…e parcheggia un po’ meglio!» Finirono i colleghi.
«E voi pensate a fare il vostro lavoro che al mio ci penso io!» Rispose Paolo a tono.
Il capo squadra si avvicinò al condominio interessato, ma non trovò nessuno ad aspettarli. «Lorenzo, contatta la sala operativa. Ci serve il nome del richiedente.»
«Sala operativa Firenze da 2B.» Chiamò Lorenzo alla radio portatile.
«Si avanti 2B, la sala operativa è in ascolto.»
«Al condominio indicato non c’è nessuno. Chi è il richiedente?»
«Si tratta della signora Marchetti, secondo piano.»
«Ok, ricevuto.» Terminò.
«Lorenzo noi tre saliamo, tu aspettaci giù.» Dispose Franco.
Una signora al pianterreno aprì loro il portone del palazzo. I suoi colleghi salirono sopra, invece Lorenzo rimase ad aspettare nell’androne del palazzo. Da lì riusciva a sentire i colleghi che si scambiavano delle risate e due voci femminili e alterate che si scontravano.
 «La mia amica ha chiuso la porta, lasciando le chiavi all’interno dell’appartamento.» Le grida provenivano dal secondo piano. «E ora non possiamo più entrare.»
“Nervosetta la tipa.” Pensò divertito.
«Lorenzo mi senti?» Chiamò Fabio per radio.
«Sì, ti sento.»
«Sali un attimo, codice sessantanove.»
«Arrivo!»
“Speriamo sia carina questa volta”. Il codice sessantanove indicava la presenza di ragazze sul posto. In questi casi, i colleghi facevano spazio all’unico scapolo della squadra: lui. Salì di corsa al secondo piano, per raggiungere i colleghi.
Arrivato sul pianerottolo, riconobbe subito Sofia. «Ah, così sei tu la signora Marchetti!» Esclamò sorridendole.
«No, sono io la signorina Marchetti.» Rispose Michela, sottolineando “signorina”.
«E che ci fai tu qui?» Esclamò Sofia stupita di vedere il giovane dottore moro del parco vestito da pompiere.
«Sono venuto a salvarti di nuovo.»
«E così sei un vigile del fuoco! Io che pensavo fossi un dottore.»
«Un dottore? Lorenzo?» Fabio rise molto divertito.
«Vedo che hai ancora il piede fasciato.» Notò Lorenzo. «E che hai fatto pure le radiografie.» Strappò dalle mani di Sofia la busta della clinica, la aprì e tirò fuori la lastra della caviglia. La mise contro luce e con fare da dottore disse: «Mi sembra che la caviglia della nostra paziente sia in ottime condizioni, signorina lei ha bisogno soltanto di un po’ di riposo. Tra un paio di settimane potrà riprendere gli allenamenti per le Olimpiadi.»
Dopo aver osservato la radiografia, la piegò in due.
«Che combini?» Urlò Sofia, non spiegandosi il gesto di Lorenzo.
«Vuoi entrare in casa o vuoi passare tutta la serata qui fuori?»
«Sì, ma…» Balbettò Sofia.
«…allora lasciaci lavorare. Vieni Fabio.» Lorenzo chiamò il collega in suo aiuto.
Si abbassò vicino alla porta e infilò la lastra piegata lungo il battente laterale, partendo dal basso. La fece scivolare fino all’altezza della serratura. Mentre Fabio afferrava il pomello della porta con le mani per scuoterla, Lorenzo spinse la lastra all’interno e la porta si aprì come per magia.
Le due ragazze rimasero a bocca aperta, meravigliate per la velocità con la quale il vigile del fuoco aveva risolto il loro problema.
«Prego signorine.» Disse Lorenzo con un sorrisetto ironico ma gentile. Poi, guardò Sofia dritto negli occhi. “Ora si che l’ho colpita.” Pensò soddisfatto.
«Come hai fatto?»
«Non devi ringraziare me, ringrazia la tua caviglia.» Disse Lorenzo, consegnandole la radiografia ormai rovinata dall’uso improprio.
«Dai entriamo!» Disse Michela trascinando Sofia dentro, prima che le uscisse da bocca qualcosa di indelicato. «Siete stati gentilissimi, possiamo offrirvi qualcosa da bere?»
«No grazie, mi occorrerebbero soltanto i documenti della signorina Sofia.» Disse Lorenzo entrando nell’appartamento.
«A cosa ti servono?» Gli chiese Sofia sospettosa. «Sei troppo curioso per essere un vigile del fuoco.»
«Per la registrazione dell’intervento. Ho bisogno dei tuoi dati personali. Non vorrai mica disubbidire a un agente di polizia giudiziaria?»
«Eri più simpatico da dottore.» Sofia posò la borsa sul tavolo, la aprì e cominciò a scavarci dentro. Prese due biglietti dalla tasca laterale e li esaminò con aria perplessa.
Lorenzo subito li notò. «Vedo che ti piace il rugby, volevi forse invitarmi alla partita?»
«No… in realtà sono per me e la mia amica.» Mentì Sofia. «Siamo grandi appassionate.»
«Un po’ strano per due fanciulle così indifese.»
«Non siamo così dolci come credi.» Disse continuando a svuotare la borsa.
Alla fine, trovò il portafoglio e consegnò la carta d’identità a Lorenzo.
«Allora. Signorina Sofia Esposito, nata a Napoli. Capelli: neri. Occhi: neri. Segni particolari: particolarmente bella.» Aggiunse lui.
Sofia arrossì in viso e calò il volto per non farglielo notare.
«Ok. Sembra tutto regolare.» Le riconsegnò la carta d’identità. «Vivete da sole in casa?» Chiese guardandosi intorno.
«Sì, siamo arrivate da pochi giorni.»
«Ecco spiegato il disordine.»
«Vorresti darci una mano anche con i pacchi? Visto che sei così gentile.» Lo provocò Sofia.
«Solo se accetti di bere qualcosa insieme stasera.»
Mentre stava per dargli una risposta, riecheggiò la radio portatile. «2B da sala operativa.» 
“Non adesso.”  
«Si avanti sala operativa, la 2B è in ascolto.» Rispose Franco.
«Vi dovete spostare subito in Via delle Porte Nuove per un incendio appartamento. Ci sono due civili bloccati all’interno. L’autoscala vi raggiungerà sul posto.» Comandò la sala operativa.
«Ok ricevuto, partiamo subito.» Terminò Franco.
«Dobbiamo andare. Ci si rivede.» Lorenzo la salutò, dispiaciuto di aver perso una buona occasione.
«Chissà.» Rispose lei alzando le spalle.
I vigili si scagliarono fuori dall’appartamento. «Paolo hai sentito la radio?» Chiamò Franco scendendo di corsa le scale.
«Sì, affermativo. Sono pronto.» Rispose Paolo dallo Stralis.
«Allora attacca la sirena, ora si fa sul serio!»

sabato 8 novembre 2014

Capitolo 3



Scese da casa per dirigersi al bar di Pino, dove era solito, prima di recarsi all’allenamento giornaliero, fare colazione insieme alla sua squadra. Il suo sorriso, sfacciato e sicuro, quella mattina appariva spento, a causa della mancanza della sua compagna inseparabile, la Suzuki GSX, lasciata da sola giù al box.
Durante l’ultima partita di rugby, aveva subito un brutto placcaggio ed era caduto poggiando in malo modo il polso destro. Per il resto dell’incontro, aveva cercato di celare il dolore, per non far impensierire il mister e rischiare di essere sostituito. Dopo due giorni, quel fastidio continuava a persistere e Christian stava cominciando a preoccuparsi seriamente.
Per non dare nell’occhio, quella mattina preferì non fasciarselo. Arrivò da Pino, dove era trattato come una vera star, e nascose la mano in tasca per evitare il saluto degli amici. Entrò nell’accogliente bar, corredato da un lungo bancone di marmo e una vetrina ricca di cornetti di ogni specie, graffe e bombe a cioccolato. Lungo la parete vetrata erano disposti una serie di tavolini, molti dei quali occupati dai ragazzi della sua squadra di rugby.
«Buongiorno belli.» Salutò ad alta voce.
«Christian, è stata una grande vittoria. Domenica ne vogliamo un’altra.» Urlò Don Carmelo, alzando l’occhio dal suo Corriere dello Sport che leggeva per ore seduto al bar, lontano dalla moglie, che in casa trovava di continuo qualcosa da fargli fare.
“Con questo polso non so nemmeno se riuscirò a giocare.” Sorrise senza far trapelare la sua preoccupazione.
«Caffè gratis solo per il nostro capitano.» Dichiarò Pino, il barista supertifoso della loro squadra.
Christian si avvicinò al bancone e cominciò a sorseggiare il suo caffè fumante. Gli si accostò Pietro, il suo inseparabile amico e “trequartista”. «Christian, il mister ci ha fornito due biglietti gratis a testa per la prossima partita. Tieni, potresti invitarci qualche bella ragazza.»
Christian prese i biglietti e li infilò in tasca. «Il mister mi paga anche l’hotel per il post-partita?» Chiese sorridendo al compagno.
«Se vai a meta, ti fa trovare anche lo spumante in camera.» Pietro gli diede una possente pacca sulla spalla, senza smuoverlo di un millimetro. Era il suo giocatore più agile e scattante, ma comunque più basso e meno robusto di lui.
Dopo aver gustato l’ottimo caffè, Christian posò la tazzina e si avvicinò al tavolino, dove erano seduti altri compagni di squadra. «Ragazzi, ho già avvisato il mister. Oggi devo saltare l’allenamento per causa di forza maggiore.»
«Chi è questa volta?» Chiese uno di loro.
«L’avete vista quella bionda in prima fila durante l’ultima partita?»
«Quella con due tette enormi che ha saltato e urlato per tutto il tempo?» Descrisse con precisione Giovanni, il loro enorme “mediano di mischia”.
«Bravo! Oggi sarà castigata per aver urlato troppo forte.»
«Grande Christian! Vorrei punirla anch’io.»
«Non ti preoccupare, gliene servirò un po’ anche da parte tua.»
Gli amici scoppiarono a ridere.
«Ragazzi ora devo andare, il dovere chiama.»
«Ci vediamo al prossimo allenamento.»
«Se ne esco vivo.»
In realtà, l’appuntamento non era con la bella bionda dai grossi seni. Si allontanò dal bar a piedi, sperando che la cosa non accendesse il dubbio nei compagni. Per non sforzare il polso fu costretto a prendere il bus fino a destinazione.

Entrò nello studio Conte e si diresse alla reception: «Sono il signor Christian Salvato. Ho prenotato una radiografia al polso.»
La signorina cercò il suo nome sulla lista degli appuntamenti. «Prego, si accomodi in sala d’attesa, la chiamerò quando è il suo turno.»
Christian si voltò e diede un’occhiata ai posti liberi. La sala era ancora vuota, tranne che per una signora anziana con il ventaglio in mano e una ragazza mora che smanettava con lo smartphone. Decise, con facilità, di sedersi accanto alla bella ricciolona.
Si avvicinò a lei e la salutò con un sorriso. Purtroppo, la ragazza fu completamente indifferente. Si sedette e provò subito a rompere il ghiaccio.
«Anche tu qui per una radiografia?»
«Eh sì.» Rispose senza distogliere lo sguardo da “Candy Crush Saga”.
«Immagino una distorsione alla caviglia.» Disse notando la vistosa fasciatura intorno al piede. «Sai sono uno sportivo, me ne intendo.»
«Ah sì.»
«Gioco a rugby. Durante l’ultima partita ho subito un brutto placcaggio e ho ancora il polso dolorante. L’importante è che abbiamo vinto.»
«Complimenti.» Gli rispose disinteressata.
«Spero solo che non sia niente di serio. Non vorrei compromettere le prossime partite. I ragazzi fanno affidamento su di me.»
«Tu non rimani mai in silenzio?» Ribatté ormai stufa del continuo interloquire del ragazzo, mentre sul display del suo cellulare uscì la scritta “Riprova”.
«Scusa. Lo so, parlo un po’ troppo. Era per ingannare l’attesa.» Si passò la mano tra i suoi ricci castano chiaro e un secondo dopo continuò. «A te cosa è successo invece?»
La ragazza rispose, rassegnata dalla sua insistenza. «Ho preso una storta mentre correvo. Per fortuna mi ha soccorso un dottore che era nei dintorni.»
«Allora sei anche tu una sportiva. Ti piace il rugby?»
«Non so nemmeno cosa sia.»
«Per combinazione ho qui con me due biglietti gratis per la prossima partita. Potrei regalarteli. Verresti con qualche tua amica. Di sicuro ti piacerà.»
«No grazie, non m’interessa.» Rispose con educazione.
A interrompere la loro conversazione ci pensò la segretaria dello studio: «Signora Sofia Esposito, è il suo turno.»
«Scusa, devo andare.»
«Ciao, a dopo.»
Sofia si alzò dalla sedia e si recò nella stanza delle radiografie. Christian, invece, rimase seduto, maledicendo la segretaria che aveva interrotto il suo approccio infallibile.
“Non è niente male la moretta. Devo riprovarci appena torna.” Decise di cambiare strategia e provare qualcosa di più diretto. Scrisse il suo nome e numero di telefono dietro uno dei biglietti e aspettò con calma.
Passati circa una decina di minuti, Sofia uscì dalla stanza, dove si era appena sottoposta a una dose di raggi X, e rientrò nella sala d’attesa. Appoggiò la borsa sulla sedia a fianco di Christian, la aprì e cominciò a scavarci dentro.
«Tutto bene allora?» Le chiese Christian sorridendo.
«Dovrei cavarmela, grazie.» Rispose lei sempre più scostante.
«Ti volevo chiedere se…»
Sofia afferrò il portafoglio e si allontanò verso il bancone senza far caso alle sue parole.
“Caspita, è tosta. Non penso li accetterà.” Prese atto Christian, non trovandola particolarmente interessata. Quando si accorse che con leggera ingenuità aveva lasciato la borsa aperta sulla sedia. “Ora o mai più.” Ne approfittò subito. Infilò i due biglietti nel taschino laterale della borsa e spostò di scatto l’attenzione verso un’altra direzione.
«Signor Christian Salvato. E’ il suo turno.» Chiamò la segretaria.
Christian si alzò e incrociò Sofia.
«Ci si rivede allora?» La salutò con un sorriso divertito disegnato sulla faccia.
«Come no.»
“Mi chiamerà. E’ già pazza di me.”

sabato 1 novembre 2014

Capitolo 2

MIA


Entrò nell’ufficio, sbattendo la porta alle sue spalle e poggiò la borsa firmata Louis Vuitton sulla scrivania. Aver trascorso l’ultima settimana di agosto da sola, chiusa nella sua filiale dell’Adecco, la rendeva più irritabile del solito. Martina, la sua collaboratrice, era ancora in Calabria a godersi le sue vacanze. Non risultava di gran compagnia, ma almeno poteva divertirsi a comandarla e farsi preparare il caffè.
Appena si sedette sulla sua comodissima poltrona, qualcuno bussò alla porta. Essendo ancora da sola, fu costretta ad alzarsi.
All’ingresso, trovò un ragazzino, con un grosso ciuffo biondo, che reggeva un grazioso mazzo di fiori. «La signorina Mia?» Chiese con gentilezza.
«Sono da parte dello stronzo?» Non ci volle molto per intuire il mittente, visto la cospicua presenza di giacinti porpora, in segno di richiesta di perdono.
«Come? Non saprei.» Disse tentennando il ragazzino.
«Sì, sì. Te lo dico io. E’ un grande stronzo.» Asserì convinta Mia. «Grazie ciuffo.» Prese i fiori e sbatté di nuovo la porta.
Stava per liberarsene, quando si accorse della presenza di un bigliettino colorato. “Fammi vedere cosa avrebbe da dire.” Lo staccò e gettò il resto nel cestino.
Lesse nella sua mente il messaggio: “Ciao Ciccia, mi dispiace per l’ultima settimana, ho una gran voglia di vederti. Ti aspetto stasera al ristorante “Il Calamaro” alle 20:30. Ho prenotato il miglior tavolo solo per noi due. Sempre tuo.”
Armando era il suo amante da circa un anno. Era un imprenditore fiorentino di bell’aspetto che amava tanto viziarla quanto portarla a letto. Appena lo conobbe se ne innamorò perdutamente, era convinta che la sua sfortuna nel trovare un amore vero fosse svanita. Al contrario, ci volle solo un mese per scoprire di sua moglie e dei suoi due figli.
La loro tresca continuò inesorabilmente. Armando riusciva sempre a circuirla con le sue belle parole e a portarsela a letto. Era difficile rimanere indifferente al suo fascino. Ormai si era rassegnata; non avrebbe mai conosciuto l’amore puro e incondizionato che sognava di trovare giungendo a Firenze.
A inizio estate, con non poca insistenza, era riuscita a strappare ad Armando la promessa di una settimana di vacanze nel Salento tutta per loro. Invece, arrivati a fine agosto, il bastardo era partito con la sua famiglia, lasciandola sola con le sue misere aspettative. Per avvertirla, il vigliacco, aveva utilizzato un triste sms: “Amore sono partito con la mia famiglia. Starò fuori una settimana. Mi dispiace non averti potuto avvisare prima. Mi farò perdonare. Ti amo!”
Dopo quel vergognoso messaggio era diventata furibonda e non aveva più risposto ai suoi tentativi di contattarla. Aveva poi trascorso una pessima settimana, cercando di convincersi a chiudere la loro storia senza futuro.
Strappò il bigliettino colorato e pensò che fosse arrivato il momento di troncarla in maniera drastica. “Chi posso contattare per farlo fuori per sempre?” Pensò seriamente Mia.
Prese il cellulare e chiamò la sua amica Francesca, una fiorentina pazza e imprevedibile.
«Ciao Mia! Come va?»
«Hai capito lo stronzo?! Stasera mi ha invitato a cena.» Era furiosa.
«Che coraggio.»
«Doveva portare me in vacanza, invece ci è andato con la moglie. Ora pensa possa bastare una cena.»
«E tu non andarci. Stasera io e due amiche andiamo in un locale, dove si balla salsa. Dicono sia pieno di bei ragazzi. Vieni con noi e dagli buca.»
«No. Non se la può cavare così.»
«Allora andiamo a fargli prima un salutino.» Suggerì Francesca.
«Giusto! Dovremmo rovinargli quel suo bel visino.»
«Non ti preoccupare Mia, penso a tutto io. Ci vediamo stasera.»
«Grazie Francy.» Attaccò il cellulare con un sogghigno sulle labbra. “La pagherà quel bastardo.”

Francesca arrivò puntuale con la sua FIAT 500 Cabrio, sotto l’appartamento, dove Mia aveva vissuto da sola, dopo aver abbandonato la tenuta di famiglia nelle campagne senesi. Quella sera si erano unite a loro anche Simona e Paola, alle quali, in passato, aveva trovato rispettivamente un impiego da estetista e da parrucchiera, tramite la sua agenzia. Le tre ragazze cominciarono a chiamarla in maniera assordante dalla macchina, fin quando non la videro uscire dal portone con un look esplosivo. Il suo fisico slanciato era coperto soltanto da una minigonna a ventaglio e una camicetta velata che lasciava intravedere la schiena, mentre i lunghi capelli biondi le scendevano delicatamente sulle spalle, risplendendo nel buio della notte.
«Ciao ragazze. Ci si diverte stasera?» Salutò le amiche e si sistemò sul sedile posteriore accanto a Paola.
«Ci puoi contare Mia, sarà una serata da sballo.» Rispose Simona.
«Ragazze, non dimenticate che dobbiamo andare prima a sistemare lo stronzo.» Le riprese Francesca con tono serioso. «Marco mi ha procurato tre fucili carichi e pronti all’uso.»
«Lo sapevo che potevo contare su di te!» Esclamò soddisfatta Mia, guardando i due fucili appoggiati al sedile posteriore. Francesca alzò il volume dello stereo a palla e partì spedita verso il ristorante.
Appena furono lì fuori, Mia avvistò Armando che aspettava ansioso sul marciapiede, con indosso un vestito molto elegante, quasi da cerimonia.
«Eccolo lì!» Fece notare Mia.
Francesca accostò la macchina di fronte al mal capitato, senza spegnere il motore.
«Ciao stronzo!» Esclamarono in coro.
«Mia!» Rispose, sorpreso di vederla in macchina con le amiche.
«Armando. Sei stato eliminato.» Urlò Francesca. «Forza ragazze!»
Mia e le compagne si alzarono in ginocchio sui sedili e sfoderarono i loro fucili. Cominciarono a sparare a raffica. Le palline di vernice si proiettarono fuori dalla canna e andarono a schiantarsi contro la sua giacca da mille euro. Lui cercava di ripararsi il volto mentre le ragazze gli scaricavano contro l’intero caricatore. Il risultato furono chiazze di tutti i colori sul povero Armando, sul marciapiede e sulla vetrina del ristorante alle sue spalle. Mia non aveva mai visto un dipinto più bello.
«Andiamo!» Francesca partì a tutta velocità. Le tre ragazze salutarono il variopinto Armando con il dito medio alzato e si rimisero a sedere.
«Comodo avere un amico che gestisce un campo di paintball.» Esclamò Francesca, suscitando un’esplosione di risate.
«E ora tutte a ballare!»