martedì 28 ottobre 2014

Capitolo 1

SOFIA


Era la prima domenica di settembre. L’estate volgeva al termine, eppure il caldo afoso non sembrava voler abbandonare la città. Con un sorriso carico di aspettative sul volto, Sofia s’incamminò verso il Parco delle Cascine con l’intenzione di dedicarsi al suo recente hobby brucia calorie. Era da quasi un anno che aveva cominciato ad allenarsi con serietà. All’inizio, lo scopo era soltanto di perdere quei chili in più che aveva sui suoi fianchi morbidi, ma col tempo si era resa conto che correndo riusciva a eliminare quello stato d’ansia che la pervadeva e ad accantonare i suoi piccoli problemi. La corsa era diventata così la sua alleata contro lo stress.
Prima di partire da Napoli aveva letto su internet che le Cascine erano la meta preferita dei runners fiorentini, spesso utilizzata per maratone cittadine e come sede di concerti ed eventi di vario genere. Era felice che dal suo nuovo appartamento potesse raggiungerla a piedi in pochi minuti.
Per sentirsi più comoda aveva raccolto i suoi lunghi capelli neri in un’ondulata coda di cavallo e indossato un completino elastico Nike, azzurro come il mare della sua città natale.
Iniziò a correre lungo il viale alberato, ancora assopito e sereno, tra vari runners immersi nel loro allenamento e qualche individuo in compagnia del suo cane. Su uno dei prati a lato un folto gruppo di persone di una certa età, eseguiva delle lente movenze di danza, col sottofondo di una musica new age. Diversi ambulanti, invece, erano freneticamente all’opera per allestire le loro bancarelle di caramelle e dolciumi. Qualcuno stava già preparando le nocciole tostate e l’inebriante odore che fuoriusciva dal pentolone ruotante spinse Sofia ad accelerare il passo, trattenendo il fiato per non farsi riempire le narici da quell’aroma irresistibile. Più avanti, due mimi, ancora non “freezzati” e che quindi potevano permettersi ogni movimento, la salutarono, incitandola alla corsa, per poi riprendere a disputarsi la postazione fissa migliore per la giornata.
La vitalità dell’ambiente circostante e l’aria fresca del mattino che le accarezzava il viso e le riempiva i polmoni la caricarono di puro e frizzante ottimismo. Ripensò ai versi famosi di Percy Bysshe Shelley, che desiderava di rigenerarsi, come la natura sotto l’effetto del vento.
“Sarà un anno meraviglioso.” Si ripeté fiduciosa.
Ora che era lontana dalla cucina della madre e dai suoi manicaretti non ci sarebbero stati più intoppi troppo invitanti a ostacolare la sua voglia di purificazione che in soldoni significava tanti chiletti in meno e la possibilità di scendere finalmente di una taglia.
Era stata per due settimane a Napoli ad aspettare fremente il giorno della partenza. La notizia del superamento delle selezioni per l’accesso al master all’università di Architettura di Firenze, cosa non del tutto pronosticabile, l’aveva riempita di gioia. Era sempre stata sicura di ciò che voleva dalla vita e valeva lo stesso discorso anche per questa nuova esperienza di studio e per tutto ciò che avrebbe significato. In maniera decisa e senza distrazioni puntava sempre dritta al bersaglio.
Per quanto riguardava le questioni di cuore, invece, il discorso era ben diverso: l’amore rimaneva per lei un grosso enigma; qualcosa in cui non sapeva come districarsi. Con l’aleatorietà del comportamento e dell’animo umano, niente era prevedibile o riconducibile a uno schema logico.
Mai come in quel periodo aveva bisogno di evadere, di cambiare ambiente, soprattutto per mettere la parola fine al suo vecchio e logoro fidanzamento durato anche troppo. In passato era stata bene con Ciro ma, ormai, era una relazione che andava avanti per forza d’inerzia, almeno da parte sua. In cuor suo, aveva sempre saputo che non sarebbe mai potuto essere l’uomo della sua vita. Anche se con il tempo le loro strade sembravano allontanarsi sempre di più, non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo e lasciarlo in maniera definitiva.
La volontà di frequentare il master, che avrebbe portato a un loro inevitabile distacco, aveva spinto Ciro a una manifestazione esagerata e inopportuna dei suoi sentimenti. Il video virale, che per l’intera estate aveva collezionato centinaia di migliaia di visualizzazioni, l’aveva convinta a chiudere il loro rapporto una volta per tutte.
Quindi, con Michela, che a sorpresa aveva anche lei superato le stesse selezioni, aveva subito fittato un appartamento a Firenze, non lontano dall’università. Era partita da Napoli, carica di determinazione e di bagagli, con l’intenzione di dedicarsi completamente allo studio e stare lontano dai ragazzi e dalle complicazioni che inevitabilmente avrebbero portato. Ignorava, però, che presto la sua vita sarebbe stata sconvolta da nuove e sconosciute regole dell’amore, diventando come una pedina su una scacchiera per lei troppo ampia, sprovvista di un manuale d’istruzioni.
Quel giorno, notò che i muscoli erano rilassati e non le dolevano. Si sentiva in ottima forma e cominciò ad aumentare in maniera graduale il passo. Percepiva il cuore che pulsava sempre più forte e i battiti salirle su per la gola. Avanti a lei scorreva tutto più veloce: gli alberi, due bambini che giocavano, una coppia che passeggiava, un bel ragazzo moro che correva… «Ahia!» Gridò, saltellando dolorante su un solo piede. Poggiò le mani per terra e si adagiò sul selciato.
«Tutto bene?» Le chiese una voce sconosciuta dal tono gentile.
«Ti sembra che vada tutto bene!» Sbraitò scuotendo le braccia.
«Fammi dare un’occhiata.»
«Lascia, è soltanto una storta.» Ansimò sofferente, tenendo la caviglia stretta tra le mani. «Non ho visto il fosso per terra.»
«Dai fammi vedere.» Insistette la voce.
«Che sei? Un dottore?» Si girò di scatto e si accorse che di fronte a lei si trovava il ragazzo che aveva appena incrociato lungo il viale.
«Sì, una cosa del genere.» Le rispose sorridendo. «Guarda si sta già gonfiando, hai bisogno di metterci un po’ di ghiaccio sopra. Appoggiati a me, ti accompagno allo chalet qua vicino.»
«Non ti preoccupare, ce la faccio… Ahia!» Strillò provando a rialzarsi da sola.
«Non ce la fai. Vieni, ti tiro su io.» La afferrò con presa sicura e la alzò senza che lei nemmeno collaborasse.
«Ma sei tutto sudato!» Borbottò.
Il ragazzo rise. «Stavo correndo. E poi non mi sembra che tu sia molto più profumata.»
Sofia lo guardò con uno sguardo fulminante, e infine si appoggiò sulla sua spalla.
Il suo gentile soccorritore la guidò verso il chiosco lì vicino, mentre lei saltellava sull’unico piede ancora sano. Arrivati in prossimità dei tavolini, la fece accomodare su una sedia.
«Aspetta qui.» Le disse sorridendo. «Non andare da nessuna parte, torno subito.»
«Dove vuoi che vada?!» “Cretino.” Pensò Sofia, non apprezzando la sua ironia. 
Tornò dopo pochi minuti con due aperitivi in mano e una bustina trasparente contenente del ghiaccio. «Hai voglia di qualcosa di fresco?»
«Guarda che questo non è un appuntamento.» Disse un po’ infastidita, osservandolo poggiare i due bicchieri sul tavolino.
Le si inginocchiò davanti e le stese la gamba. «Sei sempre così diffidente con chi cerca di aiutarti?» Prese la sacca di ghiaccio e la accostò alla caviglia dolorante.
Dopo la breve ma intensa corsa e tutto il dolore che aveva provato Sofia non riuscì a resistere. Prese l’aperitivo e ne sorseggiò un poco. «Lo bevo soltanto perché sto morendo di sete.»
«Non ti sembrava di correre troppo veloce, ti stai preparando forse per i cento metri piani?» Le chiese, sedendosi di fronte a lei.
«Avevo bisogno di sfogarmi, non pensavo certo di farmi male.» Rispose Sofia con una faccia dolorante, continuando ogni tanto a gustarsi l’aperitivo.
«Non ti ho mai vista correre qui. Io ci vengo tutte le mattine, quando smonto dal turno di notte.»
«E’ la prima volta… e penso anche l’ultima. Comunque grazie per il ghiaccio e l’aperitivo, continua pure a correre se vuoi.»
«Ormai l’allenamento è saltato, e poi non posso lasciare da sola una persona che ha bisogno di aiuto; deontologia professionale.»
«Ah, non si preoccupi dottore, sto bene.» Insistette Sofia. «Ora può andare. Me la posso cavare anche da sola.»
«Non in queste condizioni. Come pensi di spostarti?»
A questo Sofia non aveva ancora pensato. Per conoscere meglio il suo nuovo quartiere, era arrivata lì passeggiando. Purtroppo, era impensabile tornare a casa saltellando su un solo piede.
«Ora chiamo la mia amica.» Lo rassicurò, considerando la migliore e anche l’unica soluzione possibile. Prese il suo smartphone dal portacellulare al braccio e selezionò il numero di Michela, la sua coinquilina, che aveva lasciato poco prima a casa ancora avvolta tra le lenzuola.
«Mmmm… chi è?» Rispose l’amica con una voce molto assonnata.
«Michela sono io. Devi venire a prendermi subito, sono caduta e non riesco più a camminare.»
«Mmmm… sto dormendo. Non ce la faccio.» Sembrava stesse per riaddormentarsi.
«Dai Michela. Ti prego. Ti sbobino gli appunti per tutto il mese.»
«Va bene, mi alzo.» La voce sembrò schiarirsi. «Dove sei?»
Solo allora, Sofia si accorse di non sapere dove si trovasse con precisione. Si rivolse al ragazzo che la guardava, ancora in attesa di un suo eventuale coinvolgimento. «In che via siamo con precisione? Mi viene a prendere la mia amica.»
«In realtà siamo all’interno di una zona pedonale. Dille di farsi trovare a Piazzale delle Cascine.» Suggerì lui.
«Vieni a Piazzale delle Cascine, fai presto.»
«Va bene, dammi il tempo di alzarmi e sono da te.»
«Grazie Michela, ti devo un favore.»
«Non ti preoccupare. Un mese di appunti andrà più che bene.»
Michela terminò la telefonata, soddisfatta della promessa strappata all’amica. Sofia chiuse gli occhi, raccolse tanta aria nei polmoni e la cacciò fuori con violenza, cercando di calmare la sua ansia. Poi cominciò a guardarsi intorno e con un tono di voce più sereno chiese al ragazzo: «Scusa, dove si trova Piazzale delle Cascine?»
«Quattrocento metri in quella direzione.» Indicò lui con il dito.
«Come?! Ed io come arrivo lì secondo te?»
«Ti ci porto io, non ti preoccupare.»
«E come? A cavalluccio?»
«E perché no!» Sorrise alla proposta.
«Tu sei pazzo!»
«E allora me ne vado.» Esclamò alzandosi.
«Che fai adesso? Mi lasci pure da sola?»
«No! Dammi la mano.»
Sofia tese il braccio verso di lui. Il ragazzo la aiutò a sollevarsi dalla sedia, si girò e prendendola da sotto le gambe la caricò sulle spalle. Lei guidata dall’istinto, lo abbracciò per il collo.
«Caspita, dovresti correre un po’ più spesso.» La provocò lui.
«Che vuoi dire?»
«Dovresti perdere qualche altro chiletto.»
“Ha appena detto che sono grassa!” Pensò innervosita. Con la mano destra gli sferrò uno schiaffetto sulla testa. «Zitto e cammina! Non parlare più.»
Il ragazzo cominciò ad avanzare a passo spedito in direzione della piazzetta, mentre lei era intenta a osservare il mondo intorno scorrere. Era da tanto che non si ritrovava in quella posizione infantile e, per un secondo, le sembrò una cosa divertente. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, sperando che il dolore alla caviglia passasse. Le ritornarono in mente alcuni spezzoni lontani della sua infanzia. Ricordò quando il padre era costretto a correre dietro di lei e la sorella per la villa comunale di Napoli, dove le portava a passeggiare nei pomeriggi di primavera. Oppure, quando al mare, sedeva sulle spalle del padre e giocavano a far cadere in acqua la madre e la sorella. Vincevano sempre, la mamma non resisteva al loro solletico incessante. Il padre ancora oggi rappresentava il centro della sua esistenza, anche perché non aveva ancora trovato una figura maschile in grado di reggere il confronto.
Si ritrovò con la testa appoggiata a quella del ragazzo. Appena se ne rese conto la sollevò imbarazzata. “Quanto è alto?! Dovrà essere almeno un metro e ottantacinque. Ed è pure molto forte, io non sono certo una piuma.” Pensò Sofia che comodamente si godeva il viaggio. “Mah, per essere un dottore si mantiene bene in forma ed è pure carino.”
«Eccola lì, vedo la macchina di Michela che arriva.» Indicò l’Audi A1 che si fermava in piazzetta.
«Finalmente! Qualche altro metro e dovevate accompagnare pure a me all’ospedale.» Esclamò lui con ironia.
“Insiste con queste battute stupide.” «Dottore, lei tratta così tutte le sue pazienti?»
«No, solo quelle carine.»
Rimase in silenzio, colpita dalle sue ultime parole, un po’ sfacciate.
«Sofiaaaa… sto qua!» Michela la chiamava dalla macchina, agitando il braccio in aria.
Una volta arrivati a destinazione, lui era ancora più sudato e provato di prima. «Attenzione quando scendi, poggia l’altro piede.» Suggerì.
Sofia scese dalle sue spalle e si appoggiò alla macchina. L’amica le aprì lo sportello e la aiutò ad accomodarsi dentro.
Ancor prima che Michela potesse mettere in moto, lui si accostò al finestrino aperto. «Allora mi raccomando, prendi un po’ di antiinfiammatori per alleviare il dolore e fai una radiografia quanto prima.»
«Grazie dottore, è stato molto gentile a soccorrermi e accompagnarmi alla macchina.» “Anche se era meglio se stava zitto.”
«Comunque mi chiamo Lorenzo.»
«Io sono Sofia.»

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