domenica 26 ottobre 2014

IL PROLOGO

 IL GIOVANE ARTISTA


Quella mattina si era svegliato con la sensazione che dovesse accadere qualcosa di meraviglioso. La comoda sveglia mattutina, l’abbondante colazione preparata dalla madre e i raggi di sole che filtravano dalla leggera tenda della cucina presagivano l’avvento di un’ottima giornata. Dopo aver sistemato la sua cresta, a modo del suo idolo del Calcio Napoli, uscì di casa, canticchiando i versi che aveva scritto per lei.
Ciro avviò con il piede il suo scooter 50 e ci salì sopra con difficoltà. I suoi jeans ultrastretti erano all’ultima moda, ma limitavano anche i più semplici movimenti e soffocavano i preziosi gioielli di famiglia.
Lungo la strada gli si affiancarono in moto gli amici con le chitarre in spalla. Lo salutarono e proseguirono insieme verso la Mostra d’Oltremare, dove quella mattina era prevista l’esposizione delle opere d’arte di un noto artista italiano d’avanguardia.
Lasciarono gli scooter fuori la piazza quasi vuota, se non per qualche piccolo gruppo di persone vestite in maniera distinta e una piccola fila alla biglietteria.
Sorrisero al ricordo della loro ultima visita alla Mostra, in occasione del Comicon; quando, durante la gara di Cosplay, avevano potuto girare fieri a testa alta tra la folla, vestiti da Fantastici Quattro. Ciro, per il suo fisico asciutto e longilineo era stato l’Uomo Elastico, Genni aveva insistito per la Torcia Umana, Marcello, il più massiccio, aveva rappresentato la Cosa, mentre a Francesco, per esclusione, era toccato vestirsi da Donna Invisibile. Quest’ultimo, rifiutandosi di depilarsi petto e gambe, aveva decretato la loro veloce sconfitta.
Ma quel giorno, l’aria era completamente diversa, molto meno giocosa e di certo non appropriata ai loro standard. Attraversarono la piazzetta sotto lo sguardo interrogativo e perplesso dei pochi presenti, come se portassero ancora indosso i costumi da Fantastici Quattro e i peli di Francesco spuntassero inesorabilmente dalla tutina elasticizzata.
Nessuno di loro prima d’ora aveva osato visitare una mostra d’arte, ma lo scopo era nobile e la promessa di Ciro di una lauta ricompensa li aveva convinti a unirsi a lui.
«Ua Ciro, ci vogliono venti euro ciascuno per entrare.» Francesco, dalla tasca sempre un po’ corta, rimase atterrito alla vista del cartello affisso alla biglietteria.
«Non vi preoccupate amici, i biglietti li pago io. L’importante è che vada tutto come ho programmato.»
«Veramente avevamo concordato anche una margherita da Cafasso a testa.» Marcello, il suo caro amico d’infanzia, rammentò a Ciro la loro precedente contrattazione.
«La margherita è d’asporto e da mangiare sul muretto di fronte. Non l’ho dimenticato.»
«E aggiungici due birre.» Intervenne Genni, il miglior chitarrista che conosceva.
«Pure?! Non vi accontentate mai.» Ciro si rassegnò e si avviò allo sportello. L’aiuto dei suoi amici era fondamentale per la buona riuscita della sua sorpresa.
Tornò da loro e distribuì i biglietti. «Avete capito cosa fare o devo ripetere tutto?»
«Stai tranquillo Ciro, sei in buone mani.» Lo rassicurò Marcello, sempre presente con la sua telecamera quando si trattava di divertirsi.
«Mi raccomando però, fate silenzio. Non facciamoci notare prima del tempo.»
«Allora mi sa che hai sbagliato a chiamare noi.» I suoi compagni, infatti, erano famosi per essere dei grandi casinisti. Presi singolarmente potevano pure apparire tranquilli e con la testa sulle spalle ma insieme davano il peggio di loro stessi trascurando ogni regola. La loro mente regrediva allo stato di quindicenni e le loro azioni diventavano le più imprevedibili.
«La volete la pizza o no?» Ciro li guardò in maniera minacciosa.
«Abbiamo capito.» Esclamò Francesco «Rimaniamo muti.»
«Andiamo. Per prima cosa dobbiamo superarla.»
Insieme ai suoi tre amici attraversò i giardini, oltrepassando gli stand iniziali, dove il gruppo di architetti di cui faceva parte la sua amata procedeva, guidato dal famoso artista, autore delle opere esposte.
Arrivati veloci e inosservati all’ultimo stand, si introdussero al suo interno tramite una porta di servizio, trovandosi in un’ampia sala ricca di opere d’arte di ogni specie ma ancora libera dai visitatori.
«Il gruppo è ancora lontano. Dovrebbero passare di qua più tardi.» Disse Francesco.
«Qui va benissimo. Dobbiamo solo trovare il punto migliore dove scrivere il messaggio.» Cominciò a guardarsi intorno ma si rese subito conto che sarebbe stato difficile trovare uno spazio libero adatto a dei murales d’effetto.
«Ciro, che ne dici di questa parete divisoria? E’ come un’enorme tela bianca a tua completa disposizione.»
Ciro si avvicinò al muro indicatogli dall’amico. Era alto tre metri e largo altrettanto, totalmente ricoperto da intonaco bianco grezzo. Sembrava che la sorte fosse dalla sua parte.
«Ma qua c’è scritto “Muro di Punzo”.» Notò Ciro.
«Sarà la ditta che ha allestito lo stand. E’ perfetto. Coraggio Ciro, lo vuoi capire che la stai perdendo. Lei ormai è un architetto e tu fai ancora ‘o guaglion ro macellar. Devi fare qualcosa di clamoroso.»
“Ha ragione. Se parte, la perderò per sempre.”
«Ok, compa’. Passami la bomboletta spray.»
Ciro la impugnò deciso e incominciò a scrivere sul muro ancora inviolato, mentre i compagni sfoderarono i loro strumenti.
«Le chitarre sono pronte e accordate.» Genni e Francesco erano già in posizione.
«Marcello tu filma tutto. Non voglio perdere niente di questo momento speciale.» Ciro ripose la bomboletta nello zaino e si sistemò la sua cresta fissata col gel. La scritta al centro del muro era completa: “Sofia nun partì. Resta cu’ mme’.”
«Fate silenzio. Stanno arrivando.» Avvisò Marcello.
«Ora.» Ciro vide spuntare, dietro un’enorme statua, Sofia seguita dal gruppo di colleghi. Con l’accompagnamento degli amici, iniziò a cantare una canzone scritta di suo pugno per l’occasione: «Sofia resta cu’ mme’. Nun lascià solo stu cor, pers rint a malincunia-a-a-a. Senz e te sta Napoli è oscur, si o sol che splend e illumina sta città-à-à-à.»
Si fermarono tutti, di fronte a quell’improvvisato spettacolo. I loro volti erano sconcertati. Ma Sofia sembrava la più scioccata.
«No, non è possibile. Ciroooo!» Urlò sovrastando la musica. «Era il Muro dell’Incomunicabilità! Il Muro di Punzo.»
Ciro bloccò subito i suoi amici. «Cosa?!»
Non era una semplice parete posta a dividere gli ambienti ma l’opera di un grande maestro. Punzo era un artista italiano sulla cinquantina che aveva dedicato la sua vita all’arte e allo studio. Non aveva famiglia e trascorreva le giornate nel suo laboratorio d’arte, uscendo solo in occasione delle sue mostre. Il muro rappresentava la difficoltà delle persone a comunicare tra di loro, ad aprire il proprio animo e a trasmettere le proprie emozioni. Punzo pensava di poterlo fare tramite le sue opere ma, privandosi di emozioni vere e pure, le sue sculture e i suoi quadri stavano diventando sempre più freddi e cupi.
«Che vergogna. Hanno infangato l’opera.» Commentò un uomo dal fare snob.
«Che gesto ignominioso.»
«E’ imbarazzante, una voce sgradevole e lacerante.» Borbottò un’altra distinta signora.
«Non ti rendi conto di cosa hai fatto?» Sofia scoppiò a piangere.
«Cos’è questa musica? Fatemi passare.» Il maestro Punzo, un uomo corto e pelato con un sottile baffo curato, si fece avanti tra il folto gruppo.
Rimase immobile a osservare la sua opera, mentre un silenzio tombale calò sui presenti. «Incredibile. E’ successo davvero.» L’estroso artista sembrava stupefatto, qualcosa lo aveva dovuto colpire. «Giovane, come ti chiami?»
«Ciro.» Rispose perplesso.
«Ho girato il mondo intero con la mia mostra. Ciro tu sei il primo che abbia avuto il coraggio di abbattere il mio muro dell’incomunicabilità, con questi versi così spontanei e sinceri e questa voce vibrante ed evocativa. Grazie a te la mia mente ora è libera. Sei la risposta a tutte le mie domande.»
«Grande Ciro. Te l’avevo detto.» Genni gli diede una pacca sulla spalla.
«Questo ragazzino è un genio.» Commentò l’uomo di prima.
«Che poesia.»
«E che voce soave.» Ribatté la distinta signora.
Ciro si caricò di nuovo del suo entusiasmo e spostò l’attenzione sulla sua amata. «Sofia, amore. Non partire.»
Sofia si avvicinò veloce a lui, gli mollò uno schiaffo sulla guancia e si allontanò da tutti colma di vergogna.
Lui rimase fermo, guardandola scappar via, sorpreso dalla sua reazione eccessiva. «Ma io volevo solo…»
«Piccolo non badare a lei. Noi artisti siamo avvezzi a una vita di solitudine e incomprensione.» Lo consolò il maestro, arrivato accanto a lui. «Tu hai la spontanea temerarietà dei creativi. Tu sei destinato a cose più grandi.» 

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